Nessuna molestia telefonica al fratello: assolto quarantenne di Paceco. La guerra fratricida dopo che si era opposto alla vendita dei terreni di famiglia al “re dell’eolico” Vito Nicastri
La cessione di terreni agricoli nella zona di Paceco per la realizzazione di un parco eolico e fotovoltaico al noto imprenditore Vito Nicastri, passato alle cronache come il “re dell’eolico”, oltre che per la sua asserita contiguità con il capomafia trapanese Matteo Messina Denaro. È il culmine di una guerra fratricida che ha portato sul banco degli imputati Salvatore Cusenza, 48 anni di Paceco. Si era opposto al progetto del fratello maggiore Giuseppe che aveva cercato di convincere il padre a cedere i terreni di famiglia a Nicastri. Da qui la vendetta concretizzata con una denuncia per molestie telefoniche, dove ha dichiarato che Salvatore gli avrebbe impedito di portare a termine la vendita “chiamandolo insistentemente e inviandogli continui messaggi sms dal contenuto offensivo e ingiurioso”. Un’accusa che è caduta nel corso del processo svolto davanti al giudice monocratico del Tribunale di Palermo, Livio Fiorani, con la formula “perché il fatto non sussiste”, nonostante fossero maturati i tempi di prescrizione, essendo i fatti del 2014.
A smontare il castello di accuse è stato l’avvocato dell’imputato, Gioacchino Genchi, impegnato in complesse indagini difensive, concentrate soprattutto sull’analisi dei tabulati telefonici, come sottolinea il giudice nelle motivazioni della sentenza.
Salvatore Cusenza si è dedicato sin da ragazzo alla cura degli anziani genitori, coadiuvandoli nelle attività dell’azienda agricola e nei bisogni della famiglia; il fratello Giuseppe, invece, sin da giovane, si è fatto mantenere per molti anni per la frequenza di asseriti studi universitari presso la Facoltà di Psicologia di Palermo e poi di Padova che – come poi si è appurato – non sono approdati ad alcun esito, fino al punto da indurlo, dopo una asserita e prolungata frequentazione dell’università, ad inscenare il 24 ottobre 1997 la pantomima di una sontuosa festa di laurea, che in realtà non aveva mai conseguito, come lo stesso ha finito con l’ammettere in occasione del suo esame dibattimentale.
Nonostante ciò, ha continuato a utilizzare in modo esclusivo la carta bancomat del padre per numerosi prelievi, oltre ad imputarvi degli addebiti per pagamenti personali, così appropriandosi pressoché degli interi importi della pensione del genitore, accreditata sul conto, unitamente ai proventi dell’attività agricola dell’azienda di famiglia e ai contributi governativi ed europei.
Il tutto mentre il fratello Salvatore Cusenza si trovava distante da casa, in quanto impiegato presso Poste Italiane, con sede di servizio in Veneto. Quindi, in occasione di alcune trasferte in Sicilia, si è reso conto della spoliazione che il fratello aveva fatto dei proventi e del patrimonio della famiglia, eseguendo dei prelievi dal conto corrente bancario del padre, senza dare alcuna giustificazione e senza provvedere, frattanto, ai bisogni della famiglia.
Molti degli sms e dei tentativi di chiamata che hanno poi formato oggetto della denuncia del fratello, si riferivano proprio alle recriminazioni per la dissennata gestione del conto corrente e delle risorse economiche della famiglia, oltre che per i problemi che il fratello aveva creato, provocando delle cause civili con i vicini, per la sua spiccata litigiosità, che si erano concluse con la soccombenza e con la condanna dei genitori al pagamento delle spese processuali.
Messaggi e chiamate che comunque non avrebbero mai superato il limite, tanto che lo stesso giudice rimarca nella sentenza come “non si rinvenga alcun elemento esterno a sostegno della prospettazione della persona offesa, ad esempio tabulati telefonici comprovanti frequenza ed orari delle chiamate ed sms, anche al fine di verificarne l’entità ed eventuale reciprocità, né copia dei messaggi di testo, che la persona offesa ha dichiarato di non avere conservato, sì da non essere in
condizione di dare corso alla relativa esibizione”, dunque il tenore di queste telefonate “non è stato adeguatamente accertato”