Per giorni abbiamo letto dello tsunami giudiziario che ha travolto i vertici di Girgenti Acque, gestore unico del servizio idrico integrato della provincia di Agrigento, coinvolgendo diversi “colletti bianchi”.
Otto fermi per associazione a delinquere (dei quali è rimasto in carcere solo Marco Campione, ex presidente del Cda di Girgenti Acque), 84 indagati tra politici, figure istituzionali di primo piano (come nel caso dell’ex prefetto di Agrigento Nicola Diomede) appartenenti alle forze dell’ordine, tecnici, legali e anche un giornalista.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dai sostituti procuratori Paola Vetro, Sara Varazi e Antonella Pandolfi sotto la direzione del procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio, durante quasi quattro anni, si sono avvalse di attività di intercettazioni, che avrebbero “disvelato una potente azione di lobbying e la creazione di un vasto sistema di corruttele volto ad eludere i controlli degli enti preposti. Falsi in bilancio ed un sistema di accentramento degli appalti in capo alle imprese del presidente del consiglio di amministrazione di Girgenti Acque, Marco Campione, hanno permesso allo stesso di operare in regime di monopolio con relativi guadagni. L’omissione della dovuta attività di depurazione delle acque ha anche creato un danno ambientale da quantificare. L’illecito addebito agli utenti dei relativi costi non sostenuti, completano un quadro probatorio eterogeneo e complesso”.
Per il generale Nicola Altiero, vice direttore della Dia, già nel 2015 questa vicenda si sarebbe potuta chiudere mettendo un punto. Parole durissime quelle del generale, allorquando dichiara che se si fosse dato ascolto e avessero letto, con assoluta buona fede, gli atti presentati, si sarebbe evitato che l’associazione a delinquere continuasse ad alimentarsi e rafforzarsi per anni.
Se solo facessimo uno sforzo di memoria, ci ricorderemmo che già dieci anni addietro molti agrigentini si organizzarono dando luogo a proteste contro l’inquinamento marino provocato dalle continue rotture dei pennelli a mare e dagli sversamenti di liquami non depurati; ovvero alcuni degli stessi reati oggi contestati ai vertici di Girgenti Acque (l’illecito addebito agli utenti dei costi non sostenuti per la depurazione, i reati ambientali ecc).
Non mancarono le denunce presentate in Procura da parte di cittadini che aderirono al movimento spontaneo “Inquinati Agrigentini” (come nel caso dell’avvocatessa Ausilia Eccelso), né i ricorsi contro il presunto tentativo di truffa (come nel caso di Emanuele Lo Vato che si rifiutò di pagare una depurazione inesistente).
Anche in quel caso, dieci anni fa, nacque un’inchiesta… poi, il nulla…
Erano gli anni in cui un certo ambientalismo si dilettava in gargarismi marini per dimostrare che l’inquinamento era un’invenzione.
Erano gli anni in cui questi “Rachel Carson de noantri” partecipavano a conferenze stampa in difesa di “imprenditori coraggiosi” che vivevano sotto scorta e che, mentre facevano fallire aziende sane distruggendo l’economia del territorio, si attivavano a cercare di mantenere i contatti con i capi mafia locali per continuare, indisturbati e osannati, a fare affari.
Autentici pupilli di giustizialisti dell’ultima ora, e di Sherlock Holmes locali che davano la caccia a “coppole storte” e ai vari “Zì Pe’ sabbenedica”, ignorando gli insegnamenti del Giudice Giovanni Falcone (segui i soldi e troverai la mafia), lasciando che gli “affari” nella nostra provincia prosperassero.
E che Agrigento sia stata il cuore pulsante di certi “affari”, ce ne dà conferma quell’attività investigativa che stava tanto a cuore ai giudici Falcone e Borsellino; quel filone mafia-appalti che a tutti i costi si è voluto sotterrare per dare una chiave di lettura alle stragi del ’92, che porta in direzione di una trattativa Stato-mafia che vedrebbe oggi la realizzazione del progetto degli stragisti corleonesi con l’abolizione dell’ergastolo ostativo.
Non c’è che dire, “cosa nostra” è una potenza, in appena trent’anni, e dopo che sono morti i vertici dei corleonesi, presunti fautori della Trattativa, il falso “papello” (che tale era ed è stato accertato essere stato scritto successivamente) di Massimo Ciancimino, trova la sua realizzazione.
Una Trattativa per i posteri…
Ma torniamo a Girgenti Acque, all’operazione, denominata “Waterloo”, ai politici, ai tecnici, agli appartenenti alle forze dell’ordine e a tutti coloro che in cambio di un posto di lavoro per un congiunto, contribuivano “concretamente, pur senza farne parte, al rafforzamento ed alla realizzazione degli scopi dell’organizzazione a delinquere guidata da Campione Marco” – così come recita l’ordinanza.
Nel corso di una conversazione intercettata il 27/05/2014, tra Marco Campione e Gabriele (soggetto che curava i rapporti tra CAMPIONE e soggetti istituzionali – recita l’ordinanza), Campione sosteneva di essere stato dal Prefetto (Nicola Diomede – ndr) che gli aveva detto che gli avrebbe rilasciato “l’antimafia.
Secondo i magistrati che seguono l’inchiesta, dall’intercettazione sembra ricavarsi che l’ex presidente del Cda di Girgenti Acque era in attesa di un favore da parte dell’allora ministro Angelino Alfano, e che avesse il timore che questi non mantenesse l’impegno assunto.
Ed è nel corso di questa conversazione, che si fanno riferimenti a conversazioni tra il Gabriele e un appartenente all’Aisi, a Filippo Bubbico – all’epoca Vice Ministro dell’Interno – e a un non meglio indicato testa di minchi@ messo a Roma, che scassava i cog..oni, si prendeva l’uno percento e più di lì non poteva arrivare.
Storie di favori, coinvolgimento di 007 nelle conversazioni, presunti falsi in bilancio, presunte truffe e tanto altro ancora, condite da assunzioni volte a garantire protezioni alla presunta associazione a delinquere, ma prive di quello che sembra essere il tassello più importante: la corruzione vera e propria in dazioni di denaro, quel uno percento evidentemente versato a qualcuno che poteva o doveva fornire quelle protezioni che avrebbero permesso a Campione e al suo gruppo di portare avanti ancora per tanti anni quel sistema che ne aveva consentito l’arricchimento a discapito dell’intera collettività.
Chi era il testa di minchi@ messo a Roma, che scassava i cog..oni, si prendeva l’uno percento e più di lì non poteva arrivare, del quale nessuno sembra voglia parlare?
A quanto corrispondeva esattamente quel uno percento versato al testa di minchi@?
Forse non lo sapremo mai. Ci mancherà per sempre quello che sembra essere il tassello più importante di questa storia.
E mi torna in mente un aneddoto raccontatomi da un amico, quando a Giulio Andreotti, al quale chiesero un commento a seguito di un’operazione che aveva portato all’arresto di oltre quaranta persone per fatti legati agli acquedotti siciliani, rispose: Si sa che l’acqua in Sicilia è servita a mangiare e non a bere.
In quanti hanno mangiato su quell’acqua che gli agrigentini non hanno mai bevuto?
Gian J. Morici