Anche ad essere scettici o semplicemente abituati agli inganni della retorica o portati all’ironia per intima vocazione, sentir parlare di “rivoluzione liberale” non è cosa che lascia freddi ed indifferenti.
Certo le stesse parole hanno nel linguaggio di personaggi diversi, significati tutt’altro che collimanti. Per farla breve: non sono rimasto insensibile all’ultimo slogan di Berlusconi: “rivoluzione liberale”.
Non so se il Cavaliere abbia voluto ripetere la professione di fede di Piero Gobetti, né voglio domandarmi subito e con sospetto se, divenuto “rivoluzionario”, il Cavaliere rinunzierà alla sua tradizionale ed usurata formula della adunata dei moderati. “Rivoluzione moderata” è senz’altro un’espressione ironica.
Ma non sempre merita l’ironia. Cavour fu indubbiamente un rivoluzionario. Forse l’unico in Italia senza connotazioni e sfumature un po’ operettistiche. Ma fu anche sapientemente ed accortamente “moderato” e moderatore. Ma era Cavour e non pare che ce ne siano altri.
Detto questo, è chiaro che di fronte a quello che sembra voler essere un “nuovo corso” del berlusconismo redivivo, la questione non può e, soprattutto, non vuole essere filologica. E delle riserve, gravi e profonde, vorrei, vorremmo farne a meno.
Continuiamo per la nostra strada. Non corriamo certo noi il rischio di perdere per intempestività di una convinzione difficile a maturare, un seggio alla Camera, al Senato e al Consiglio Comunale di Roccacannuccia.
Aspettare prima di giudicare è già una espressione di ottimismo. La mia commozione per una formula quale “rivoluzione liberale” non è minore per le riserve su chi, perché e come la pronunzia.
Ma finché non vedrò chiamare a raccolta non solo gli imprenditori, piccoli, medi e grandi oppressi dalle tasse, ma anche quelli taglieggiati dalle minacce di un’Antimafia predatoria, dalla giustizia degli indizi e dei sospetti, danneggiati dalla fine della certezza del diritto e dei diritti, finché non sentirò dire che anche questa, e soprattutto questa, è la rivoluzione liberale, la mia fiducia in un nuovo corso della storia e della vita di questo singolare personaggio non muterà e non arriverà.
Finché i commissari della Commissione Antimafia di Forza Italia, del Centrodestra, della vecchia e rinnovata schiera del Cavaliere, non rovesceranno i tavoli dei giuochi inverecondi di Rosy Bindi sul “placet” dato o negato con disonore agli eletti dal popolo, giudizio sul giudizio del popolo sovrano, io sarò convinto che quelle parole, in sé così vivificanti delle nostre coscienze, sono solo una “appropriazione indebita”.
Contro l’insostenibilità della pressione fiscale, ma anche, ed, anzi, prima di tutto, contro l’insostenibilità di una legalità illegale e violatrice dei principi di libertà, contro il fardello di una zuppa acida di pezze colorate dell’ordinamento giuridico che ci ruba garanzie e certezze dei nostri diritti. Così potrà essere la Rivoluzione Liberale il nuovo pensiero illuminista: poteri snelli, chiari e precisi. E’ sperare troppo? Forse.
Ma nessuno pretenda di gabellarci la rivoluzione liberale di un Generale dei Carabinieri.
Ma è anche la vera strada per non morire nel pantano e nell’oscurità della prevaricazione dell’ignoranza della “repubblica delle Toghe”.
Mauro Mellini