Da questa domanda ha preso spunto uno studio italiano, in pubblicazione sulla rivista “Science of the Total Environment” (Link), coordinato da Giancarlo Isaia, Professore di Geriatria all’Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina, e da Henri Diémoz, Ricercatore dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Valle d’Aosta. Al lavoro hanno partecipato ricercatori dell’Università di Bologna e di Sapienza Università di Roma, dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile), della Città della Salute e della Scienza di Torino e delle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente di Alto Adige,Veneto, Piemonte e Puglia.
Lo studio ha esplorato la possibilità che l’evoluzione dell’epidemia COVID-19 veda coinvolti, tra i molteplici meccanismi di trasmissione, non solo l’interazione tra le persone, ma anche alcuni fattori ambientali: per questo, è stata valutata la diffusione spaziale dell’epidemia in Italia durante il periodo della sua prima ondata (febbraio-maggio 2020), caratterizzata da un maggior impatto nelle regioni settentrionali, ed è stata evidenziata una correlazione statisticamente molto significativa fra il numero di decessi e di pazienti affetti da COVID-19 in ciascuna regione italiana e l’intensità della radiazione ultravioletta (UV) solare, valutata alla superficie terrestre, in tutte le regioni, mediante rilevazioni sia satellitari che al suolo. Sono, inoltre, emerse correlazioni, sebbene meno significative rispetto a quella con la radiazione UV, anche con altre variabili, ambientali (la temperatura dell’aria), sociali (il numero di residenti in RSA) e cliniche (la mortalità media per malattie cardiovascolari e diabete).
I risultati di questo studio statistico sono coerenti con i possibili effetti benefici, descritti nella recente letteratura scientifica, della radiazione UV solare sulla diffusione del virus SARS-CoV-2 e sulle sue manifestazioni cliniche: risulta infatti, che la radiazione UV è in grado sia di neutralizzare direttamente il virus, sia di favorire la sintesi di vitamina D che, per le sue proprietà immunomodulatorie, potrebbe svolgere un ruolo antagonista dell’infezione e delle sue complicanze cliniche. Di conseguenza, gli autori suggeriscono l’opportunità di approfondire lo studio di queste tematiche con ulteriori ricerche di tipo clinico, e sottolineano l’importanza di disporre di una rete di misure coordinate della radiazione ultravioletta sul territorio italiano. Auspicano, inoltre, che vengano organizzate campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sugli effetti sia positivi che negativi dell’esposizione alla radiazione solare e sul consumo alimentare di cibi contenenti la vitamina D, oppure la sua supplementazione farmacologica, sempre sotto controllo medico. Compensare l’ipovitaminosi D, molto diffusa nel nostro Paese, potrebbe infatti contribuire al contenimento della pandemia, soprattutto nei soggetti anziani e fragili, come peraltro già sostenuto (Link) da Giancarlo Isaia e da Enzo Medico dell’Università e dell’Accademia di Medicina di Torino.
Solar ultraviolet radiation and COVID-19: is there a relationship? This question was answered by an Italian study, in press on the “Science of the Total Environment” (Link), supervised by Giancarlo Isaia, geriatrician of the Turin University and chairman of the Academy of Medicine, and by Henri Diémoz, researcher of the Regional Environmental Protection Agency (ARPA) of Aosta Valley. Moreover, other researchers from the University of Bologna, the Sapienza University of Rome, the Italian Agency for New Technologies, the Energy and Sustainable Economic Development (ENEA), the Città della Salute e della Scienza of Turin and the Environmental Protection Agencies of South Tyrol, Veneto, Piedmont and Apulia contributed to this analysis.
The study explored how some environmental factors contributed to the evolution of the ongoing COVID-19 epidemic, in addition to the well-known transmission mechanisms. The researchers have therefore examined the spatial distribution of the outbreak in Italy during the first-wave period (February-May 2020), characterised by a greater impact in northern Italy. The investigation proved that the regional death rates and COVID-19 infections had a very significant correlation with the intensity of solar ultraviolet radiation (UV) at the Earth’s surface measured in each region by satellite and soil detection. Less significant correlations were also found with other environmental (air temperature), social (the number of residents in Nursing Home Residences) and clinical (cardiovascular and diabetes mortality) variables
The results of this statistical study are consistent with recently published findings, highlighting possible effects of the solar radiation on SARS-CoV-2 virus and its clinical manifestations: it is known that ultraviolet radiation can both directly inactivate the virus and increase the vitamin D levels. This latter effect could play an important role in the containment of the disease and in the lessening of its complications, thanks to the vitamin D immunomodulatory properties. Hence, the authors suggest further investigation on the topic by means of clinical studies and they highlight the importance of having a coordinated network of UV radiation measurements in Italy.
The authors also suggest organizing campaigns to raise awareness of both the positive and the negative effects of the solar radiation. They also foster active measures to increase the vitamin D levels, either through the pharmacological supplementation, under medical supervision, or through the consumption of vitamin D rich food.
Compensating vitamin D deficiency in countries like Italy, where hypovitaminosis D is widespread, could help containing the pandemic, especially in frail elderlies, as was already suggested (Link) by Giancarlo Isaia and Enzo Medico, on behalf of the University and the Academy of Medicine of Turin