Una vicenda ingarbugliata (pensate, ad esempio agli spacciatori, che non si è cercato di coprire che fossero dei confidenti perché solo se tali si sarebbero rivolti ai Carabinieri per riavere i soldi dovuti restituire ai truffati).
Un assassinio feroce. Un trattamento dell’accoltellatore inconcepibile e brutale. Una foto che sembra fatta da qualcuno che si proponeva di far “saltare” l’indagine. Ma in tutto quel pasticcio, che a tratti sopravanza la brutalità dell’omicidio e la tragedia della vita stroncata di quel Carabiniere, si aggiunge un incredibile provvedimento dell’Arma. Il “severo” (??) provvedimento è stato adottato, così si è detto, nei confronti di una sola persona, il militare che pare abbia dato alla stampa la foto.
E gli altri?
Bendare il ragazzo arrestato non è cosa ascrivibile ad una sola persona ma a molte altre, a cominciare dal più elevato in grado dei presenti. E, poi, perché quella foto? Per gloriarsi di quel metodo barbaro di procedere all’interrogatorio?
Quindi molti responsabili: del trattamento dell’arrestato, della fotografia e della propalazione di essa che, se dovesse essere considerata la colpa più grave, significherebbe che quello dei Carabinieri sia diventato un ambiente di malaffare, dove il rivelare quel che si fa tutti assieme è la colpa peggiore: “fare la spia”.
In buona sostanza prendendo il provvedimento (assai lieve, in verità) nei confronti del “rivelatore” del fatto e della foto il Comando dell’Arma sembra voler approvare il trattamento del giovane omicida e la fotografia “cose che si fanno ma non sono quelle che si dicono né si fanno conoscere”.
Io non so quanto ciò potrà incidere sulla chiarezza e sull’esito delle indagini preliminari. Ma, intanto, ci sputtana irrimediabilmente in America.
La violenza nei confronti delle persone accusate per estorcerne confessioni, una volta del tutto “normale” nelle Caserme dei Carabinieri come nei Commissariati di P.S., era uno dei pochi sistemi vergognosi andati in disuso nel nostro Paese.
Ora veniamo a sapere che non è così e che, ponendo chi certe cose le fa trapelare o addirittura né dà le prove alla stampa (cui si “deve” dare, invece, ogni notizia idonea allo sputtanamento dei sospettati) cioè poco ci manca che apertamente si proclami legittime le brutalità dei metodi inquisitorii.
C’è da sperare che non ne segua una deviazione delle indagini e, magari, qualche incriminazione di un innocente, che non abbia neanche concorso al crimine.
Anche questo è un segno del regresso. Della Giustizia e non solo della giustizia.
Mauro Mellini