Quando frequentavo le scuole elementari nel mio paese d’origine si era in piena “era fascista”.
Un giorno un vivace e curioso ragazzino rivolse al maestro della nostra V classe un quesito nientemeno che di diritto costituzionale, materia che, come in ogni regime totalitario aveva scarso senso. C’era pochissima Costituzione ed anche pochissimo “diritto”.
“A Sor maè, commanna più ‘l Duce o ‘l Re?”
Il maestro era un brav’uomo, che ricorreva all’allora fondamentale strumento didattico che erano le busse con notevole moderazione (insomma era un assai poco “plagosus magister”.)
La domanda dovette sembrargli impertinente. Ma, forse perché il padre di quel troppo curioso fanciullo non era in fama di “sovversivo”, non la considerò addirittura provocatoria, tale da meritare una risposta a suon di bacchettate.
Si prodigò, invece, a spiegare la differenza tra il “commannà” onnipotente ed onnisciente del Duce (che, come era scritto anche sui muri “ha sempre ragione”) che nella sua eccezionale capacità di vedere, prevedere, provvedere, assicurava a tutti pane e sicurezza ed il carattere simbolico, rituale, sacro della figura del Re, rappresentativa dello Stato, del comando delle forze armate etc. etc. Insomma, fece del suo meglio nel dare anche a sé stesso una risposta a quell’inconsueta e pericolosa domanda.
Il ragazzino, che mi dispiace assai aver perso di vista, stette a sentire tutte quelle belle parole poi, chiaramente deluso, se ne uscì a dire…”ma allora ‘l Re che ce sta a fa’?” Poco ci mancò che il bravo maestro non lo caricasse di botte per quella sua mancanza di rispetto per la figura simbolica etc. etc.
Pensavo a quel povero bambino ed a quella che sarà stata la sua triste sorte di figlio di contadini di allora, di fronte ad una delle oramai quotidiane divagazioni tra le competenze ministeriali di Salvini. Il mio compagno di scuola non avrebbe avuto necessità di domandare né al maestro né ad uno dei tanti maestri di diritto e di politologia se “commanna più Salvini o Conte”. Ma avrebbe potuto ben concludere “ma allora Conte che ce sta a fa’?” (ovviamente Conte).
E che “ce sta a fa’” un Ministro degli Esteri, che avrà pure dimenticato chi sia, ma che pure crede ci sia, sia pure per modo di dire.
Salvini è andato in America a parlare con quell’altro pachiderma che è il Presidente Trump. Un viaggio a spese dello Stato non deliberato in Consiglio dei Ministri, né concertato con il cosiddetto Presidente del Consiglio. Non parliamo del Ministro degli Esteri, di cui probabilmente anche Salvini avrà dimenticato il nome.
Magari non sarà neppure stato allertato l’Ambasciatore italiano a Washington. Che, se così è stato, non se ne sarà certo dispiaciuto, tanto avrebbe dovuto solo preoccuparsi di procurare un interprete al “comandante” Salvini.
Certo non è stato atto corretto di Trump ricevere, da Presidente degli Stati Uniti, una sorta di ministro “ribelle” di un Paese libero e, malgrado tutto, amico come l’Italia.
Se penso che un uomo che ignora i limiti della sua competenza di ministro come Matteo Salvini vuole dar mano nientemeno che alla riforma della giustizia, per la quale il primo problema, istituzionale e funzionale allo stesso tempo, è quello dei limiti, dei confini di competenza tra i poteri dello Stato, mi sento i brividi del terrore.
A tal proposito bisogna prendere atto che ogni questione, appunto, relativa allo sconfinamento che leggi, giurisprudenza, prassi, uso ed abuso, con erosione continua vanno da anni realizzando in pro del potere giudiziario è questione che, dopo essere stata al centro di un rozzo lampo di intuizione di Salvini, è scomparsa completamente dietro la dolciastra, generica ed assai vaga “questione morale”.
Non si cava il sangue dalle rape.
Mauro Mellini
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