Siamo già alla bancarotta. Nero su bianco essa è dichiarata dall’impudente documento governativo in cui si proclama che la stagnazione in atto e la recessione prevedibile e prevista saranno combattute con la crescita.
Come dire: siamo e saremo poveri. Ma la povertà la contrasteremo con la ricchezza.
La dissennata, inconcludente politica economica degli “Amici del Bar dello Sport”, l’ostinato rifiuto di mettere in cantiere grandi opere infrastrutturali, che sono universalmente riconosciute come mezzi primari di difesa contro i fenomeni recessivi (il NO TAV è l’esempio da manuale di un’opposta catastrofica politica) hanno prodotto i loro effetti funesti con qualche anticipo sulle previsioni ottimistiche degli sciagurati bancarottieri, che avevano fatto i loro calcoli così da pensare di farla franca fino ed alle elezioni europee, in cui speravano di raccogliere i frutti del loro delitto, che ben potremo chiamare del “416 quinquies” del Codice Penale.
Questa sciagura non è tale che se la possano giuocare a ping pong Di Maio e Salvini.
Finora le nefandezze di questo Governo sono state messe a carico della metà di esso pronto a fare da “opposizione interna” come “opposizione alla Salvini”.
Opposizione tuonante, ma, soprattutto, comoda perchè tale da consentire di stare comodamente al Governo raccogliendo al contempo i consensi di quanti ne vedevano e ne vedono le pericolose baggianate.
La mancanza di senso del ridicolo che ha sempre contraddistinto lo “stile Salvini”, da quando faceva il tifo per il Paraguay contro la Nazionale di Calcio Italiana, rea di non essere la Nazionale della Padania, gli ha consentito di muoversi a suo agio nella parte di Capitan Fracassa che sta al Governo guadagnandosi i consensi dell’opposizione di quanti ne comprendano e ne temano il disastro che esso prepara per l’Italia.
Troppo comodo. E troppo comodo, fare il tifo per un personaggio simile, solo perché fa la faccia feroce con il pupazzetto ottimista, il “bello guaglioncello”, Di Maio.
E troppo comodo sarebbe, di fronte alle stravaganze dello schieramento politico (si fa per dire) non andare a votare.
I non votanti, in crescita nelle precedenti elezioni nazionali, sono anch’essi responsabili. Votino per chicchessia ma votino per chi, intanto, non sta al Governo.
Per non restare in mano ai dissennati impudenti, sia pure dell’“opposizione interna”.
Mauro Mellini