Un detenuto della prigione di Condé-sur-Sarthe – in Normandia – ha attaccato due sorveglianti nella mattinata di martedì marzo, armato di un coltello in ceramica, al solito grido di Allah Akbar. I due uomini sono stati trasferiti in ospedale ed uno è stato operato.
L’aggressione è stata ufficialmente dichiarata un “atto terroristico” dal Ministro della Giustizia. Nonostante il passato dell’individuo, ritenuto difficile, aveva beneficiato di un soggiorno in unità “vita famiglia” e dopo l’attacco si è trincerato con la sua compagna in un locale di questa prigione, peraltro molto sicura e non sovrappopolata. Le cucine della prigione non sono dotate di coltelli in ceramica, il che fa logicamente pensare che sia stato introdotto dalla sua compagna che ha simulato un malessere per aiutarlo.
Difficile stabilire come definire questo detenuto schedato FSPRT, lo schedario per la prevenzione e la radicalizzazione a carattere terroristico. Dargli del jihadista significa farne un “eroe” dei ranghi dell’Isis. E’ uno dei tanti che rispondono agli appelli a colpire “in loco”?
Il 28enne Mickaël ha un curriculum spaventoso. Nel luglio 2014 è stato condannato a 30 anni di prigione per aver sequestrato, torturato ed ucciso, con due complici, un ottantenne scampato alla Shoah per rapinarlo… Non pago, è stato condannato l’anno successivo per apologia del terrorismo per aver mimato gli attacchi del funesto 13 novembre che avevano fatto 129 morti.
La prigione “ospita” anche Youssuf Fofana, il capo della gang dei barbari che torturò a morte il giovane ebrei Ilan Halimi, la cui tomba è stata da poco profanata…
In questa prigione di massima sicurezza, piena di questo tipo di detenuti dalle pene massime due membri della sicurezza penitenziaria hanno rischiato oggi la vita. La sicurezza al 100% non esiste.
Se questo detenuto, che non ha un vero e proprio percorso da jihadista ma sembra essersi radicalizzato in seguito, è riuscito a fare un attentato oggi, che sia per convinzione o per mettersi in mostra, cosa succederà con i jihadisti francesi che il governo vuole rimpatriare? La radicalizzazione in prigione è fatto noto.
La risposta è alquanto difficile da trovare senza cadere in propositi estremi che non potrebbero che fomentare nuovi attacchi. L’altro pericolo è il buonismo a tutti i costi. I tentativi di deradicalizzazione in Francia sono falliti e, a soli 4 anni dalla condanna, Mickaël beneficia di “vita famiglia”. Cosa ne pensa la famiglia dell’ottantenne torturato ed ucciso?
Luisa Pace