La storia non si “ripete”, ma si ripetono fenomeni che la storia consentirebbe di meglio conoscere e approfondire per evitare pericolosi ritorni e sciagurate “marce indietro”.
Con tanto parlare e tanto sfoggio di bigotta retorica sulla mafia fatti da un’antimafia ignorante e intrinsecamente retrograda e reazionaria (anche se camuffata “di Sinistra” e di marxismo) e con tanto parlare di “autonomia” di cui quasi nessuno conosce significato, potenzialità, effetti, l’antimafia si è rapidamente evoluta in sistema predatorio, di aggressione economica e culturale ed al contempo di creazione e di sostegno di una nuova classe al contempo servile e parassitaria, complice dell’oppressione e oppressiva.
Tutto ciò richiama alla mente fatti e situazioni della storia dell’Isola e le sue pagine più tristi: quelle dell’imperversare della Santa Inquisizione di Spagna.
In Sicilia (non a Napoli, dove si ottenne che l’Inquisizione non mettesse radici e che ne fossero rimesse a quella Romana le competenze) si scatenò l’Inquisizione Spagnola, razzista e come tale, utilizzata dai Re spagnoli come strumento di discriminazione nei confronti di “Moriscos” (Arabi anche se convertiti) Ebrei e “conversos”, (Ebrei convertiti) garantendo effimeri privilegi ai “cristanos viejos” ed alla “limpiesa de la sangre” di quelli che erano rimasti cristiani (o quasi) sotto la dominazione araba. In Sicilia l’Inquisizione spagnola infierì contro i residui della dominazione e della presenza di popolazioni Arabe, contro gli Ebrei, che furono scacciati e che, di fatto fu strumento di repressione politica ed economica per l’assoggettamento alla Spagna e la sua conservazione.
E’ singolare, e tale da essere richiamata alla mente quando si parla di una classe industriale parassitaria antimafiosa-mafiosa, l’istituzione dei “famigliari dell’Inquisizione”.
Erano essi qualcosa come spie patentate, collaboratori e “segnalatori” di peccati altrui, sostenitori politici, economici e funzionali dell’Inquisizione, affidata, per lo più, ad un clero spagnolo. In compenso i “famigliari” erano sottratti alla giurisdizione ordinaria e potevano essere giudicati solo dal Tribunale dell’Inquisizione – che nei loro confronti spendeva tutta la misericordia che risparmiava con i sospetti di eresia e di costumanze non cristiane.
Così molti nobili si fecero “famigliari” per godere di questo privilegio.
Quando il Viceré Caracciolo, sull’onda dell’Illuminismo abolì l’Inquisizione in Sicilia, i nobili vollero che ne fossero distrutte anche le tracce. Così fecero bruciare gli archivi proprio per nascondere la vergogna di quei loro genitori, avi e congiunti che si erano fatti spioni e crudeli parassiti. Un fenomeno di “gattopardismo” anche formale “ante litteram”.
Questi “famigliari” fanno pensare un po’ ad una aristocrazia di pentiti. Pentiti prima ancora di commettere malefatte e crimini e quindi in grado di assicurarsene il profitto, l’impunità o l’indulgenza in cambio della loro “collaborazione” con la grande macchina della persecuzione.
La Santa Inquisizione di Spagna (che faceva capo a Madrid e non a Roma) ha lasciato tracce profonde, ha fatto danni mai riparati. L’arretratezza dell’Isola, di per sé ricca e feconda, fu in gran parte conseguenza di quel regime di speciale oppressione. Con la salvezza delle anime, come oggi con quella, mai assicurata, dalla mafia, furono assicurati alla Chiesa, a conventi e fraterie varie, ricchezze enormi, strappate .ai perseguitati, peraltro scarsamente produttive e malamente utilizzate, malgrado la conclamata menzogna secondo cui i beni della Chiesa erano i beni dei poveri.
Come non pensare alla cosiddetta “utilizzazione sociale” dei patrimoni sequestrati e confiscati, messi sotto le amministrazioni alla Don Ciotti e, magari, alla Saguto?
C’era poi la “prevenzione” di “ricadute nel peccato”. Gli inquisiti che si salvavano dal rogo o dalle orribili galere e dalle torture erano obbligati per il resto della vita a portare uno speciale abito da penitente: il “sambenito” (San Benedetto, Santo, del cui ordine facevano parte i padri inquisitori).
Non mi risulta che ci fosse, invece, una qualche santa protettrice ed ispiratrice di quel sistema di applicazione della carità cristiana. Così è precluso ogni tentativo di stabilire una similitudine con Rosy Bindi.
Mauro Mellini