<<Nei Tribunali, dunque, i magistrati
non sono più quali dovrebbero essere,
esecutori, cioè, delle leggi: essi si sono
eletti in legislatori e si han arrogato il
diritto di disporre a loro arbitrio della
libertà e della vita de’ sudditi.
Delle riforme si fa altrettanto>>.
Giuseppe Maria Galanti
(Testamento forense, T.I.)
Quel che ieri abbiamo scritto sull’assurdità del sistema di “prevenzione antimafia”, non è che una piccola parte della dolorosa e letale questione.
Senza essere degli economisti è tuttavia possibile individuare conseguenze ulteriori, più vaste e più mortificanti per l’economia delle Regioni dove più intensa è la presenza della mafia e più frequenti le sgangherate imprese dell’Antimafia.
Se le “misure di prevenzione”, anzi, il solo fatto dell’inizio di un procedimento con il sequestro dei beni in attesa della decisione sull’eventuale confisca, hanno effetti distruttivi sulle aziende indipendentemente dall’esito del provvedimento finale, dell’accertamento della effettiva esistenza degli indizi di mafiosità, della mancanza di “giustificazioni”, dell’avvenuta acquisizione dei beni e del livello dell’impresa da parte dell’indiziato di essere indiziato, è certo che il fatto in sé dell’esistenza di tali norme, di tali possibilità di produzione di disastri per le imprese, comporta una perdita oggettiva di valore dei beni e delle aziende in regioni come la Sicilia, la Calabria, la Campania (e non solo) e che, soprattutto, ne faccia precipitare il potenziale di garanzia del credito.
Un patrimonio di un miliardo in Trentino-Alto Adige può garantire crediti al titolare di esso in misura ben superiore a tale cifra.
Ma, lo stesso patrimonio, con lo stesso valore nominale, in Sicilia o in Calabria non può garantire nemmeno un credito di pochi milioni.
C’è infatti la possibilità che un sospetto che la Ditta titolare sia indiziabile di mafia faccia sparire ogni garanzia da un momento all’altro.
Ne consegue che le Banche in tali regioni siano assai più restrittive nell’erogazione del credito.
Ma c’è di peggio. Se le condizioni della garanzia offerta dagli imprenditori siciliani e calabresi, per il motivo suddetto non consentono un’erogazione adeguata e sufficiente del credito, all’oggettivo valore delle garanzie patrimoniali si sostituisce la “raccomandazione”, il “favore”: di carattere politico-clientelare, ma, prima o poi, mafioso, sia pure della mafia dell’antimafia. La catena delle conseguenze è infinita. Trovate un Procuratore di bocca buona ed avrete voti di scambio, abusi d’ufficio, etc. etc.
Così l’Antimafia diventa, anche per questo, il cane che si morde la coda. E il sistema economico di intere regioni si sfascia e muore soffocato.
Basterebbe affrontare seriamente e senza pregiudizi e retorica questioni del genere per avere un programma completo per una forza politica capace di spendersi nelle prossime elezioni siciliane. E una adeguata informazione su tale problema ne farebbe una forza vincente. Il disastro che l’Antimafia sta provocando all’economia è tale da aver colmato la misura.
Ma occorrerebbe un’informazione che non si fa senza mezzi mediatici (e contro gli interessi dei parassiti) né in poco tempo.
Ed allora, se l’argomento deve a tutti i costi ed in qualsiasi condizione essere portato sul piatto della bilancia politica, è pur certo che non basta, anzi, sarebbe controproducente, una mera presenza politica, una lista, un partito “di testimonianza”.
Assai più valido ed efficace sarebbe che un movimento quale quello che si sta delineando in Sicilia, organizzatosi, ponesse a tutte le liste, a tutti i candidati la condizione di pronunziarsi su tutto ciò, negando voti e consensi a chi si presenterà ancora una volta come super-antimafia, parassita di morti e di vivi.
Basta con l’Antimafia mafiosa può essere lo slogan vincente.
Se qualcuno vuol vincere davvero.
Mauro Mellini