E’ noto che una delle più clamorose baggianate della riforma costituzionale Boschi-Renzi su cui andremo a votare con il referendum, è quella ammannita come l’abolizione del “bicameralismo paritario” e la riduzione del Senato ad uno strano “coso” lasciato in vita con dimensioni ridotte e funzioni non tanto limitate quanto di incerti confini studiati, si direbbe, con il fine da renderne impossibile o estremamente difficile l’esercizio effettivo, ad esempio, ponendo termini perentori per l’esame di progetti di leggi già votate dalla Camera dei Deputati.
Che sia possibile che i Senatori (95, di cui 74 consiglieri regionali e 21 sindaci in carica come tali) possano riunirsi e far votare da un terzo dei componenti di esso entro dieci giorni la richiesta di esaminare le leggi e poi far formulare la loro proposta di modifica entro 30 giorni, è palese assurdità, perché comporterebbe la necessità per questi sindaci e consiglieri regionali-senatori di possedere il dono dell’ubiquità per sdoppiarsi in uffici e luoghi diversi, magari mal collegati con Roma. Una struttura ed un meccanismo che più ancora che balordo, appare punitivo e beffardo.
Funzioni ristrette, dunque, non senza incertezze nella loro consistenza ed i loro limiti assai genericamente indicati ma, soprattutto difficoltà frapposte intenzionalmente al pieno ed agevole loro esercizio che imporrebbe ai “senatori volanti” una vita da cani randagi ed un lavoro bestiale in ambienti e luoghi diversi ed in materie diverse.
E tutto ciò senza alcuna indennità, perché Renzi, così, si propone di “risparmiare”.
Non c’è Assemblea parlamentare di nessun Paese né vi sono componenti di essa così malamente e palesemente maltrattati e sbeffeggiati.
Ed una beffa è chiamare “Senato” un così malridotto residuato di una antica istituzione.
Bisogna tornare indietro di quasi due secoli per trovare una parodia del Senato Romano. Sotto il dominio temporale del Papa, dell’antico e glorioso Corpo dei “patres et conscripti” rimase un unico Senatore, qualcosa di simile ad un sindaco dell’Urbe, ma senza alcuna reale funzione, perché tutta l’Amministrazione era in mano ai preti investiti di diverse cariche (tranne quella di ricevere l’”omaggio” degli Ebrei, congedandoli con un calcio).
Il “Senatore di Roma” era un nobile, nominato dal Papa, anche lui senza alcuna indennità e propina e con l’onere di spese ingenti, a cominciare da quelle per i festeggiamenti per il suo insediamento. E che non contava nulla, come con il linguaggio del popolo scriveva Gioachino Belli:
Dice: “e che ufficio tiè questo signore?
io la finii allora: “Ha du’ mestieri
lava le mano ar Papa e sta all’odore”
(18.1.1833 “Er zenatore de Roma”)
“Stare all’odore” si diceva del cameriere che, compunto e riverente, con un asciugamano ed una brocca di acqua calda “assisteva” il suo nobile padrone seduto in “seggetta” a fare i propri bisogni. Ma, come specificava il Poeta in una sua nota a quel sonetto: “stare all’odore”, era frase “esprimente ogni sorta di esclusione”.
Ecco: Renzi vorrebbe un Senato della Repubblica e dei Senatori che “stessero all’odore”, sia pure nel secondo significato, rispetto alle sue imprese, col compito di tale “assistenza”.
Così stando le cose, c’è da domandarsi chi potrebbe aver voglia di fare il Senatore. Anche a questa domanda c’è una risposta di G.G. Belli:
Li requisiti per entra’ in funzione
so una brava parrucca in su la coccia
e un par di guanti bianchi e un ber rubbone
(16.1.1834 “Era zenator novo”)
Mauro Mellini
30.08.2016