Il bambino potrà avere dieci anni. Si guarda intorno un po’ spaesato, in un silenzio totale.
Per un momento è confuso dalle luci che sbucano dalla nebbia che le diffonde, e dalle sagome che si muovono. Alza gli occhi e incontra quelli del padre, gli prende la mano, l’uomo gli sorride. Si incamminano piano, in punta di piedi. Nel silenzio assoluto un suono metallico, come delle campane che si inseguono, le note vicine creano dissonanza, il suono è imprevedibile ma armonioso. – Cos’è questa musica? – chiede il bambino. – Sei tu. – risponde il padre sorridendo.
Il bambino non chiede altro, sembra soddisfatto della risposta, ma rimane in silenzio ad ascoltare quel suono che sembra provenire da destra, ma anche da sinistra e da sopra di lui. Mentre camminano fa un saltello, poi improvvisamente dice al padre: – Guarda che so fare! – E spicca un salto enorme, impossibile, per poi ricadere leggero sulla punta dei piedi. Il padre gli continua a sorridere, è un sorriso di affetto, di amore, di tenerezza.
Poco più avanti un bambino è seduto su una seggiolina, da solo, con un pelouche in mano. Potrà avere forse quattro anni. – Perché quel bambino è solo? – chiede il bimbo al padre. – Non importa, prendigli la mano. – Il bambino obbedisce, e il bimbo più piccolo dà la mano a quello più grande con un leggero sorriso, non dice niente, e insieme continuano a camminare. – Come si chiama questo posto? – chiede il bambino più grande, cercando di scrutare nella nebbia il marmo del pavimento, la linea nera del mare, le luci che si inseguono, le persone che vanno e vengono nel silenzio più assoluto. – La passeggiata degli inglesi. – risponde il padre. – Ma noi non siamo inglesi, eppure stiamo passeggiando. – ribatte il bimbo. – Non importa. – gli risponde il padre – Non importa, davvero. – Camminano ancora un po’, poi il bambino si ferma, e anche gli altri due si fermano con lui. – Guarda quella signora, papà, che cosa succede? – Più avanti, sulla sinistra, figure si muovono nella nebbia, sono intorno ad un’altra figura sdraiata, e da quel gruppo di figure una donna cerca di divincolarsi, spinge con le mani, viene tirata dentro, è disperata, le mani aggrappate da qualche parte, il viso contratto. – Aspetta. – dice il padre.
Dopo pochi secondi la donna è davanti a loro, gli sorride, poi si gira e comincia a camminare davanti, e dopo pochi metri prende per mano un’altra donna. Continuano così per un po’, e ad un certo punto, superate le luci e le figure frenetiche, da oltre la nebbia vedono spuntare un muro. Solo che non è un muro. Sono braccia. E mani. E teste, e sorrisi. Una moltitudine. Una moltitudine che abbraccia quella teoria di persone che passeggiano piano, in punta di piedi. Prima una, poi dieci, venti, cinquanta, ottanta persone che vanno verso il muro di braccia. Il bambino si ferma, poi si gira improvvisamente.
Lontano, una donna è seduta su un marciapiede. Ha la testa tra le gambe, le gambe attaccate al corpo, i capelli pieni di sangue, e il torace sconvolto dai singhiozzi. Il bambino guarda il padre. – E la mamma non viene? – Il padre si inginocchia, gli sorride. – No. Per adesso non viene. Ma verrà anche lei. – – Gli mancherò? – chiede il bambino, più perplesso che addolorato. – Moltissimo. Gli mancherai moltissimo. Ma quando arriverà avremo un sacco di tempo per stare insieme. – Il bambino annuisce, forse ha capito, o forse non importa più. L’uomo si rialza, e i tre riprendono a camminare, fino ad arrivare alle braccia e ai sorrisi che li aspettano. Si fanno travolgere, sommergere, ricoprire, e poi tutti insieme spiccano un grande salto. Lassù, verso le stelle del cielo del 14 Luglio 2016.
Senza parole.
Sarebbero inutili….