Giorni fa, quando scoppiò il caso di “Confiscopoli”, dei sequestri e dei relativi incarichi di amministrazione dei beni che ne sono oggetto, qualcuno, non so se un ingenuo o un bello spirito, a conclusione della disamina dei commenti (pochi e più che moderati) scrisse che c’era da attendersi quello di Don Ciotti.
Certo un qualsiasi avvenimento che abbia a che fare con la mafia ed altri fenomeni più o meno ad essa affini, comporta il giudizio, il commento, la condanna, la proposta del Reverendo.
Don Ciotti è un Reverendo antimafia. Di quelli di tipo mediatico, ché altri certamente ce ne sono di tipo diverso dei quali nessuno parla se non quando li ammazzano.
Di “confiscopoli”, che io sappia, il Reverendo Antimafia non ha detto nulla, anche se ho l’impressione che avesse molto da dire, cioè da non dire, da evitare di dire, da tacere, che, assai spesso, sono la stessa cosa.
Ora, pur avendo taciuto allo scoppio dello scandalo, il Reverendo sembra molto impegnato in iniziative, campagne, dichiarazioni ed esibizioni che, si direbbe, costituiscano proprio la risposta, anzi lo strumento per evitare di rispondere ai moltissimi interrogativi oramai ineludibili da parte dell’Antimafia, del “terzo livello” da essa rappresentato e dai molti, troppi beneficiari, reddituari, parassiti, soci ed azionisti del sistema Antimafia di cui “Confiscopoli” è un settore ed un aspetto essenziale.
Estendere le “misure antimafia” (cioè sequestri e confische patrimoniali) nei confronti dei soliti “indiziati” di essere corrotti e corruttori. Sarebbe bene che un progetto del genere indicasse, almeno approssimativamente il volume di sequestri e confische e le percentuali di “indiziati” destinati ad essere riconosciuti non colpevoli, dopo essere stati rovinati, fatti fallire, messi sul lastrico con i loro dipendenti etc. etc.
Don Ciotti non ci dice come “Libera” (“libera nos Domine…” recitavano una volta in latino i Reverendi) si prepara ai nuovi compiti, magari con la creazione di “Libera – anticorruzione”. Intanto è certo che, se andrà avanti questo progetto (autore Ingroia che peraltro, per modestia e per senso della storia e della tradizione, lascia chiamare la “sua” legge nientemeno che “Ingroia-La Torre”) ci dovremo subire il Reverendo in tutte le possibili salse televisive a spiegarci come salvare l’Italia dalla corruzione.
Naturalmente Don Ciotti non si è mai perduto dietro ad argomenti futili, come l’industria dei “munnizzari”, dei “signori delle acque” (chiare, fresche, dolci e luride) non ha tempo da perdere a cercar di convertire peccatori d’alto bordo, che, del resto, sono praticamente inconvertibili. Il “terzo livello” della mafia non lo riguarda. Noi sappiamo che se l’Antimafia è finita in corruzione, l’Anticorruzione di Ingroia finirebbe in mafia.
Il nostro Reverendo fa parte dell’Ordine dei Predicatori (O.P. Ordo Predicatorum) dell’Antimafia. Ce ne sono parecchi, ci sono, del resto, anche i predicatori dell’anticorruzione.
Il Reverendo Ciotti ha qualche predecessore e potenziale concorrente, che però non mi pare abbia avuto troppa fortuna né ottenuto adeguati contribuiti statali, regionale e comunali. E, poi, è chiaro: un Reverendo “anti” è sempre un’altra cosa.
Penso ad un certo Di Caterina che anni fa fece la sua brava (ed accorta) confessione di corruttore politico pentito e fondò un’associazione intitolata “Cosa Pubblica” redigendo pure un decalogo (che nel testo giornalistico che ho per le mani è, invece un “decologo” per assonanza forse con “corruttologo”, termine di là da venire di sicuro successo.
Il Signor Di Caterina, corruttore pentito e “corruttologo” deve essere un uomo di cultura ed anche un conoscitore della storia della Chiesa. La sua confessione di ex corruttore, oltre ad essere giuridicamente accorta (non c’è ancora una legge per l’impunità dei corrotti e corruttori pentiti), sembra suggerita dal “casuista” gesuita Molina del secolo XVII; uno di quelli con i quali se la prendeva Pascal nella “Lettere provinciali”.
Di Caterina avrebbe, dunque versato tre milioni di euro a Penati. “Ma non per avere appalti illeciti. Ma quando si è vicini ad un politico è inevitabile (sic!!!!) avere dei vantaggi. E gli appalti leciti arrivano”. Il pensiero gesuitico del Molina è assai chiaramente espresso: l’”opinione probabile” è che ciò non sia peccato.
Ora non so se queste regole della “morale probabile” gesuitica siano state trascritte nel decalogo (o decologo) dell’Associazione “Cosa Pubblica”, né se questa abbia avuto vita non effimera. Qualcosa del genere (della teoria di Di Caterina) è però trasfusa nelle prassi e nelle visioni evangelizzatrici del Reverendo Ciotti. “Quando si è sulla cresta dell’onda mediatica i contributi statali e le assegnazioni di beni confiscati, poi vengono.” Come gli appalti.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info