Sul fatto che il connubio politica-mafia nasca già nella fase elettorale sembra che nessuno abbia alcun dubbio da sollevare tant’è, che al fine di tutelare una corretta e disciplinata competizione elettorale, impedendo gli affetti deleteri di un pactum sceleris tra la politica e le varie forme di criminalità organizzata, a partire dal 1992, è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico una nuova fattispecie di reato, lo scambio elettorale politico-mafioso.
Nella prima stesura della legge, l’articolo 416 ter, del codice penale, prevedeva che fossero puniti coloro che ottenevano la promessa dei voti dalla criminalità organizzata, in cambio di denaro.
Un aspetto molto riduttivo quello dell’individuazione della sola datazione in denaro affinché si configurasse il reato visto che la mafia, o più in generale la criminalità organizzata, può trarre profitto da altre forme di compensazione.
Nel 2014, per far fronte a questa lacuna normativa, venne apportata una modifica alla legge, approvando l’inserimento nella condotta perseguita anche l’accettazione della promessa di procurare voti con le modalità mafiose, o il promettere voti attraverso tali modalità, oltre che in cambio di denaro, anche nel caso in cui la compensazione avvenisse in cambio di altre utilità.
L’articolo 416 ter
L’articolo 416 ter, punisce dunque una condotta criminogena individuata esclusivamente nello scambio della promessa di voti, compensato da qualsiasi forma di utilità, purché i voti al candidato vengano procurati, o vi sia la promessa che vengano procurati, con modalità mafiose.
Venendo meno tale premessa in merito alle modalità mafiose nel procurare i voti, appare evidente che le condotte suindicate non sono ascrivibili a quelle punite dall’articolo 416 ter, ma vadano eventualmente a raffigurare altra tipologia di reato.
Prova ne sia la sentenza numero 36382, depositata il 28 agosto 2014, della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, affermando che, ai sensi del nuovo art. 416 ter cod. pen., come modificato dalla legge 17 aprile 2014 n. 62, le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario.
Secondo gli Ermellini, dunque, l’introduzione del “nuovo elemento costitutivo nella fattispecie incriminatrice, tale da rendere, per confronto con la previgente versione, penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti”, impone, ai fini della sussistenza del reato, che sia dimostrata la “piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di aver concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”.
La motivazione indicata in sentenza nasce dal testo approvato, che sanziona l’accettazione del procacciamento dei voti con le modalità previste dal terzo comma dell’art.416-bis, evidentemente ritenuto funzionale all’esigenza di punire non il semplice accordo politico-elettorale, bensì quell’accordo avente ad oggetto l’impegno del gruppo malavitoso ad attivarsi nei confronti del corpo elettorale con le modalità intimidatorie tipicamente connesse al suo modo di agire, nonostante la relazione parlamentare alla proposta di legge, evidenziasse come “l’ulteriore (diabolica) necessità di provare l’utilizzo del metodo mafioso, che non attiene alla struttura del reato, riconducibile ai delitti di pericolo ovvero a consumazione anticipata, rischia di vanificare la portata applicativa della disposizione”.
Grazie alle modifiche apportate al 416 ter, già lacunoso ed inefficace di suo, la Suprema Corte non poteva che disporre l’annullamento con rinvio della sentenza portata alla sua attenzione, sancendo la necessità di un nuovo processo di appello per un ex politico siciliano, accusato di scambio elettorale politico-mafioso (leggi la sentenza).
Modifiche e associazioni antimafia
L’impostazione normativa, e successive modifiche, sollecitata dalle associazioni antimafia con a capofila Libera di don Ciotti, che avrebbe dovuto contrastare il fenomeno della collusione politico-mafiosa già nella fase elettorale, ha mostrato in toto la propria inefficacia, rilevandosi più un bluff adatto a proclami politici e sterili passerelle in veste antimafiosa, che non uno strumento idoneo a impedire il prodursi degli effetti nefasti del connubio tra mafia e politica.
Perché infatti configurare il reato solo nel caso di compra-vendita di voti solo nel caso di una datazione in denaro – come nella prima stesura della legge – o solo allorquando vi sia l’evidenza di un pactum sceleris politico-mafioso fondato al fine di procurare voti al candidato tramite modalità mafiose?
Sorvolando sul fatto che difficilmente si potrebbe provare che la promessa tra le parti sia fondata sull’uso di tali modalità, che al politico poco interessa il modo bensì il quanto e che tra le due parti non risulta si sia mai rinvenuta alcuna forma contrattuale, scritta o verbale, che affronti tale aspetto della questione, ad evitare il mercimonio del consenso elettorale tra politica e criminalità organizzata e non, colpendo così anche quella zona grigia che si manifesta pienamente nell’esercizio dell’azione amministrativa, grazie alle collusioni di cui sopra, sarebbe sufficiente impedire che a far propaganda elettorale possano essere i soggetti esclusi dall’elettorato attivo, come previsto dall’attuale impianto normativo.
Pericolosità sociale e discrasie
Appare infatti evidente la discrasia che impedisce a taluni soggetti (persone sottoposte a misure di prevenzione, di libertà vigilata, di sicurezza detentiva, o sottoposte a divieto di soggiorno, o, ancora, condannate a pene che comportano l’interdizione dai pubblici uffici) di esercitare, quantomeno momentaneamente e per la durata della misura applicata, il proprio diritto al voto, consentendo loro, al contempo, di partecipare attivamente alla competizione elettorale, procacciando voti per quella lista o per quel candidato, o in danno di quell’altra lista o di quell’altro candidato.
In sintesi, quanto previsto dal disegno di legge “Lazzati”, uno strumento normativo che, nonostante sia stato ritenuto da più parti utile, se non indispensabile, a rompere sul nascere il legame mafia-politica, da decenni non trova applicazione.
Una legge che prevede il divieto – e quindi l’eventuale successiva configurazione del reato – di svolgere propaganda elettorale da parte di chi è indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, ed è sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Ovvio che tale norma non possa incontrare il favore di quanti dallo stato de quo traggono vantaggio e che la stessa possa essere oggetto di valutazioni di tipo giuridico da parte di illustri giuristi che potrebbero valutarne eventuali difetti, ma non v’è dubbio che quanto previsto dalla norma, ponendo un veto assoluto all’attività di propaganda politica a soggetti ritenuti socialmente pericolosi, impedirebbe che si pongano in essere quei comportamenti che tutti riconosciamo come fortemente dannosi, senza la necessità di dover provare, ma neppure presumere, che l’individuo ritenuto socialmente pericoloso abbia raggiunto un accordo illecito di tipo elettorale.
Orbene, appare ovvio come tale aspetto della questione possa sollevare dubbi, tant’è che già in passato la materia è stata oggetto di valutazioni in merito al principio della offensività di tali comportamenti e di conseguenza dell’eventuale appartenenza alla fattispecie dei reati di pericolo presunto o di pericolo concreto, evidenziando come il principio da cui la norma sia quello della presunzione che il soggetto giudicato socialmente pericoloso, abbia una particolare predisposizione a costituire patti illeciti, per cui la mera propaganda politica, di per sé priva di attitudine lesiva e di conseguenza non punibile, diventi tale in virtù della valutazione in merito alla proclività criminale di soggetti la cui pericolosità sociale è stata già oggetto di precedente valutazione.
Una questione di lana caprina, considerato che se tale valutazione viene fatta in merito all’aspetto in questione, la stessa non dovrebbe prescindere da una più ampia che non giustificherebbe alcuna prescrizione riguardante soggetti ritenuti socialmente pericolosi, timorosi del fatto che in futuro possano commettere ulteriori reati.
Qualsivoglia valutazione del genere, finirebbe con il rappresentare un pericolo astratto al quale dovrebbero seguire le stesse considerazioni effettuate in merito alla legge Lazzati. Eppure, ad oggi, nessuno si sogna benché minimamente di cancellare dal nostro ordinamento giuridico tutti quegli aspetti normativi che si fondano sulla presunzione di pericoli astratti.
La questione, resta valida solo per quanto concerne il rapporto mafia-politica…
« Eh caro! chi è il pazzo di noi due? Eh lo so: io dico TU! e tu col dito indichi me. Va là che, a tu per tu, ci conosciamo bene noi due. Il guaio è che, come ti vedo io, gli altri non ti vedono… Tu per gli altri diventi un fantasma! Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! e credono che sia una cosa diversa». “Così è (se vi pare)” – di Luigi Pirandello
Gian J. Morici