Tre o quattro giorni in Sicilia non bastano certo per rendersi conto di quelle che sono le reazioni allo sfascio dell’Antimafia, del Governo Crocetta-Lumia, del “terzo livello” mafioso della Confindustria Antimafia. Del “Sistema”, in poche parole.
Alcuni rilievi, però, possono essere fatti con una certa sicurezza.
Nessuno si è meravigliato del marcio delle amministrazioni dei beni “mafiosi” sequestrati e della stessa probabilità, emersa e colta e denunciata, che addirittura sequestri e confische siano stati “gonfiati” in funzione degli incarichi di amministrare i beni che ne sono oggetto, da conferire a figli, amici, compari dei confiscatori antimafia.
Si direbbe che quanto oggi è venuto alla luce, giudizialmente contestato, documentato e reso di pubblico dominio, fosse noto a tutti e non da ieri. Non solo, ma che così era “logico” che fosse. L’abitudine al malaffare comporta lo scetticismo nei confronti dell’onestà anche di quanti non ne sono, in realtà coinvolti.
E ciò vale per gli individui e per le categorie. Se corrotti sono “naturalmente” uomini politici, funzionari, pubblici impiegati, la fiducia sull’omertà della magistratura non può rimanere intatta a lungo.
Una seconda considerazione mi pare possa essere colta nell’atteggiamento prevalente della gente: se il marcio è venuto fuori a Palermo è perché “quelli di Palermo” (i magistrati) “sono in guerra” con “quelli” di Caltanissetta. E’ una antica convinzione, tanto più radicata quanto più i regimi impongono l’esaltazione delle virtù di chi ne è parte e ne riceve privilegi.
“Che cane, già se sa nun morde cane
ma quarchi vorta so’ cani arrabbiati
…. se mozzicheno puro tra de loro.”
Scriveva questo distillato delle convinzioni popolari G.G. Belli quasi un paio di secoli fa.
Che il sistema della competenza a conoscere di eventuali reati di magistrati sia attribuita ai “colleghi” di un distretto diverso, comporti conseguenze dipendenti soprattutto dai più o meno buoni rapporti correnti tra uomini ed uffici delle diverse sedi è pure cosa risaputa. E che qualche grave frattura ai vertici delle due Procure vi sia è pure cosa ben nota.
Che da ciò possa essere dipeso anche in parte che il “poter non sapere” di quanto avveniva a Palermo e l’inerzia avanti alle precise denunzie di Telejato siano venuti meno è cosa che non può certo essere esclusa. La gente di Sicilia è assai più categorica nel giudizio su questa eventualità.
Una terza questione. Che è forse quella relativa alle opinioni circa l’esito di questa crisi del sistema e dell’apparato politico-giudiziario costruito sull’Antimafia e dai sedicenti “antimafiosi”.
La gente di Sicilia sembra scettica in ordine ad una parola “fine” che significhi e comporti il ritorno ad una legalità autentica, alla certezza del diritto e dei diritti ed alla rimozione delle mille coperture alle operazioni di malandrinaggio politico-economico o giudiziario che sono state consumate e si consumano dai “professionisti dell’Antimafia” e si aggiungono a quelli della mafia e dei mafiosi.
Fenomeni come quello di un Leoluca Orlando che “si converte” alla diffidenza nei confronti dell’Antimafia, sembrano confermare tale scetticismo e lasciano intravedere un’altra grande “mutazione gattopardesca” che assicuri agli stessi interessi i vantaggi illeciti di cui hanno goduto e godono sotto tutte le bandiere.
Certo, si direbbe che la maggioranza dei Siciliani convenga che Crocetta, Lumia, il “crocettismo”, la combutta con gli uomini di Sicindustria abbia superato ogni precedente ed ogni limite di decenza. Ma è anche convinta che tutte le altre forze politiche (o sedicenti tali) e che tutti gli altri esponenti della vita pubblica dell’Isola si siano adattati ad una sorta di parassitismo di questo scandaloso disfacimento e che, anche se sembra impossibile qualcosa di peggiore di quel che si sta verificando, l’antica rassegnazione al “peggio è quel che viene dopo” serpeggi ed abbia la prevalenza tra la gente.
Direi che una delle certezze più radicate è quella che le malefatte della giustizia “di lotta”, l’abitudine al dispregio di ogni garanzia saranno quel che più difficilmente e più lentamente, anche nella migliore delle eventualità, potranno scomparire e che tracce indelebili di questa negazione dei principi dati per fondamentali rimarrà incancellabile.
Prevale, dunque, il pessimismo.
Questa è la carta più forte nelle mani dei mafiosi “antimafia”. E, forse, di tutti i mafiosi.
Le eccezioni, peraltro, ci sono. C’è chi non si cura troppo del dover essere ottimista o pessimista, ma cerca, magari disperatamente, di reagire, è alla ricerca di qualche modo per poterlo fare. E queste eccezioni sono la speranza per tutti.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info