DIVAGAZIONI IN UNA ESTATE TORRIDA
4 puntata
Sono in Sicilia. C’è l’aria di sfascio generale.
La Regione va in malora Si parla di stipendi che rischiano di non poter essere pagati.
Crocetta è forte dell’oramai universale disistima che lo circonda: così forte che non ci sarebbe che da far crollare tutta la baracca politica (si fa per dire) –istituzionale per schiacciarlo e toglierselo dai piedi. Ma ognuno pensa ad evitare di perdere il molto o il pochissimo che il marciume del sistema gli dà, senza assicurarglielo.
La retorica dell’antimafia è caduta improvvisamente in disuso ed in sospetto. Ma le piaghe dei disastri e delle cocenti ingiustizie che ha determinato e determina non sono rimosse.
I magistrati, i sacerdoti dei riti esoterico-satanici in cui l’antimafia trovava la sua teologia e la sua giustizia cominciano a sentire l’aria di insofferenza che circonda certe loro baggianate.
Di Matteo ha rinunziato all’attentato “del bidone”. Le vicende di Crocetta hanno gettato un bidone di grottesco e di ridicolo su tutta la baracca.
Si ferma a parlarmi una persona il cui nome, sul momento non vale a suscitare i miei ricordi. Che, poi, man mano affiorano chiarissimi. Ne so sul suo conto assai più di quanto egli possa sospettare.
Mi dice che è una vittima dell’antimafia. E’ vero. Ma è vero pure che, poi ha cercato di rifarsi facendo il tirapiedi di più di un boja della medesima.
Mi dice che la mafia non esiste. Una volta una affermazione del genere era il biglietto da visita dei mafiosi. Poi è divenuta un reato di opinione: “concorso esterno” o giù di lì.
Il fatto che un assiduo voltagabbana vada a riesumare un’affermazione del genere la dice lunga.
L’antimafia lascerà dietro di sé tracce difficilmente cancellabili sui geni di queste propalazioni, per tanti versi generose ed ammirevoli.
Giuseppina è partita per il Continente dove potrà trascorrere alcuni giorni con il marito ergastolano, condannato sulla parola di un pentito calunniatore patentato, che ha trovato “conferma” nelle docili dichiarazioni di altri mafiosi già condannati sulla sua parola, divenuti a loro volta “pentiti”.
Per più di dieci anni il marito è stato sottoposto al “41bis”, anche se, per far quadrare le sue calunnie il “pentito” suo accusatore aveva sostenuto che egli era sì il “capomandamento”, ma non contava niente, perché nessuno gli dava peso: aveva avuto quella “carica” perché raccomandato. Non si sa da chi. Ma, una volta in carcere bisognava sottoporlo al regime speciale perché avrebbe potuto di lì esercitare quei poteri che non aveva mai avuto da libero.
Nessuno gli ha mai chiesto di “pentirsi”, caso unico più che raro. Sembra che tutti, finite le giaculatorie delle c.d. “motivazioni”, si rendessero ben conto che si trattava di un innocente ingiustamente condannato. E tuttavia il suo ergastolo non solo è “definitivo”, ma è un ergastolo “ostativo”. Ostativo della liberazione condizionata che avrebbe potuto ottenere dopo 27 e passa anni di galera, perché “non è ravveduto”, infatti non “collabora”. Non può perché non ha nulla da “rivelare”. Il direttore del carcere in cui si trova pare ne stia facendo un caso di coscienza. Ma non ci sono gli estremi per la revisione. Condannato, senza prove non ce ne sono “altre” nuove, che consentano di “demolire” quelle a suo carico.
Anche se l’”antimafia” dovesse crollare nel più ignominioso dei modi (come ha incominciato a fare), è difficile che queste assurdità che essa ha provocato, giustificate e teorizzate vengano spazzate via.
E’ per questo che una delle cose che più mi angoscia e mi ferisce di questo mondo folle e vergognoso di ingiustizie “di lotta”, è rappresentato dalla “moderazione” di giuristi di grande valore (penso a Fiandaca ed al suo libro contro il processo della c.d. trattativa) in cui le assurdità della pretesa di processare lo stesso Stato, in persona di suoi servitori che agirono in suo nome, per tentativo di subire le minacce di Cosa Nostra, sono pacatamente demolite senza una parola di sdegno e senza un doveroso insulto.
Sono gli stessi grandi giuristi che domani, nel migliore dei casi, ci spiegheranno che no, non c’è nulla da fare per rimediare a certe nefandezze. “Dura lex rea lex”. Anche la “dura lex” di origine giurisprudenziale del “concorso esterno” o, magari, dell’ergastolo ostativo”.
Giuseppina non stava in sé dalla gioia per questi dieci giorni di “licenza” del marito. La sua gioia mi fa vergognare. Vergognare di essere cittadino di questa Repubblica e, per di più, magari, “giurista”, anche se assai modesto.
Mauro Mellini