Parlo con un collega, un giovane (almeno a me cos’ appare…) avvocato brillante e preparato.
Ho per le mani casi di amministratori comunali accusati di reati contro la Pubblica Amministrazione. Il discorso cade sul reato di “abuso d’ufficio”. Un ingrediente solito in quei cocktail (guazzabugli) che sono i capi di imputazione in casi del genere. Una sorta di “tappabuchi”: dove non c’è nulla o quasi, c’è un bell’”abuso d’ufficio”. Faccio presente al mio amico la singolarità di quell’articolo 323 del codice penale che ha cambiato formulazione, così da averne una prima, una seconda ed una terza versione, senza che se ne sia giovata la limpidezza della formulazione.
Facciamo alcune considerazioni su quell’avverbio “intenzionalmente” che figura nella terza versione, quella attuale e che ha consentito, anzi, imposto di creare un’ulteriore tipo di dolo: il “dolo intenzionale”. Un’autentica baggianata, perché il dolo è, per definizione, l’intenzionalità dell’evento conseguente all’azione.
Se quello dell’art. 323 è “dolo intenzionale” quello “normale” dovrebbe essere “non intenzionale”, cioè “non dolo”. Così tutti gli altri reati sarebbero reati colposi compreso il furto, la calunnia, la violenza sessuale…
Classico esempio della catena di coglionerie che si scatena con l’ignoranza e l’approssimazione di certi legislatori oggi prevalenti. E poi ci sono i “grandi giuristi” oggi di moda, il cui ruolo è quello di appiccicare pezze colorate per “coprire” le baggianate dei legislatori, ricavandone concetti e principi che con la loro autorevolezza “giustificatoria” fanno passare per “giuridici”. Così è venuto fuori un “dolo intenzionale” che senza alcun rossore dei suoi inventori si è aggiunto al ruolo diretto, alternativo, eventuale. Senza conseguenze di “non intenzionalità” per questi altri generi.
Faccio presente al mio giovane amico le distorsioni interpetrative del reato di abuso d’ufficio ed in particolare i molti casi in cui P.M. e Giudici “svicolano” sulla questione della specificità ex lege o ex regolamento della violazione, che non va confusa con la generica regolamentazione ex lege e per regolamento della materia e del procedimento amministrativo. Gli faccio presente che l’insofferenza di questo limite della rilevanza penale è frutto dell’invadenza del Partito dei Magistrati e, più in generale, della giurisdizione, nel campo di competenza dell’Esecutivo e della politica.
Il mio amico sembra accendersi di entusiasmo a questa osservazione e me ne fa gran merito. Come se si trattasse di chi sa quale scoperta. E’ lo ripeto, persona preparata ed acuta. Se questo gli sembra una “scoperta” è perché oramai i principi giuridici fondamentali sono quotidianamente “superati”, dimenticati, demonizzati. Frutto di qualche decennio di attività legislativa abborracciata, disarmonica, assai approssimativamente inserita in quello che dovrebbe essere il contrasto generale dell’ordinamento e della relativa scienza. Così stanno andando in fumo secoli di elaborazione della scienza e del sistema giuridico ed, in particolare, tutta la costruzione realizzata dall’Illuminismo in qua.
Il diritto romano sopravvisse alle invasioni barbariche, divenne, al contempo, oggetto di studio di una splendida scuola di giuristi e seme del nuovo diritto dell’età della ragione.
Che cosa potrà sopravvivere alle manipolazioni populiste dei legislatori “modello Cinque Stelle” (di varii partiti), alle loro interpolazioni “ignoranti”, all’evoluzione interpetrativa dell’invadenza politica della Magistratura, ai suoi “reati giurisprudenziali” ed alle assai poco amene amenità dei nostri giorni?
Pensieri che mi rattristano e danno alla mia vecchiaia il senso di una fine che è anche quella di idee, ideali, speranze.
Il mio amico se ne accorge e pietosamente cambia discorso.
Mauro Mellini