Le vicende di Palermo e di Roma, con il Presidente della Regione Siciliana ed il Sindaco della Capitale screditati, abbandonati dal partito che li ha fatti eleggere, alle prese con le mezze rivolte dei rispettivi Consigli e con le Giunte che “perdono i pezzi”, che restano inchiavardati sulle loro poltrone, sono gli emblemi del fallimento rovinoso del sistema dell’elezione diretta di Sindaci e Presidenti e della sciagurata norma che importa, quando per qualsiasi ragione sia estromesso o venga a mancare il “capo”, lo scioglimento e le nuove elezioni per le relative Assemblee.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, oramai in piena crisi della Prima Repubblica, sembrò che quel sistema fosse il toccasana per assicurare la “governabilità” degli enti locali e che rappresentasse una sorta di anticipazione per un sistema costituzionale “presidenziale” per la nostra Repubblica.
I fatti e, soprattutto “questi fatti”, di Palermo e di Roma, dimostrano che il risultato è stato l’opposto. Disastroso.
La mozione di sfiducia, con la quale i Consigli (regionale, comunale e, provinciale) possono far cadere sindaci e presidenti si è mostrato strumento impraticabile per l’ovvia ragione che a tale eventualità si fa seguire lo scioglimento del Consiglio e i consiglieri, magari, strillano, ma fanno sempre mancare almeno un voto alla mozione masochista che li manderebbe a casa assieme allo “sfiduciato”.
Tornavo a riflettere su questa oramai indiscutibile verità l’altro giorno, 25 luglio, anniversario di quello celebre del 1943, in cui il voto “masochista” del Gran Consiglio, mandò a casa, o piuttosto alla Maddalena o al Gran Sasso e, poi a Piazzale Loreto, Mussolini. Io sono convinto che allora non furono i gerarchi a “tradire” il Duce (che poi li fece fucilare per aver approvato l’ordine del giorno da lui messo in votazione), ma che fu Mussolini a tradire i gerarchi per trarsi d’impaccio e trovare una via d’uscita, così gli parve, dalla resa dei conti della sua sciagurata politica. Ma non intendo qui fare la storia: solo, semmai considerare che ora per far fuori un Presidente e un Sindaco occorre una Piazza Loreto giudiziaria sulla quale immolarlo quasi sempre assieme ad almeno un po’ di quelli che solo teoricamente avrebbero potuto mandarlo a casa in modo più civile.
Scusate il paragone un po’ troppo truculento. Ma questa “dittatura”, questa inamovibilità di Sindaci e Presidenti che, poi, se ne valgono per continui “rimpasti” grotteschi delle Giunte, con cui mandano a farsi benedire la “stabilità” e la “governabilità”, è in linea con le peggiori tradizioni della “voglia di un padrone” che affligge il nostro Popolo e di quella ostilità sorda per la “politica” che ne contraddistingue la stoltezza.
Scusate se ho turbato, con l’evocazione di fantasmi lucubri del passato, la tranquillità delle vostre vacanze.
Ma questo credo e questo dico.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info