La retorica dell’antimafia, con i suoi miti che sempre hanno sopravanzato la realtà, coprendola e deformandola, sembra avviarsi al tramonto.
A metterne in discussione l’intangibilità, che. fino a non molto tempo fa, faceva di ogni critica, di ogni dubbio, di ogni obiezione, l’anticamera pericolosa di un’accusa di connivenza con le organizzazioni criminali. sono oggi anche personaggi che dell’”antimafia devozionale” (Vitiello mi consentirà se spesso ricorro a questa sua splendida espressione) erano addirittura delle icone. Basterà ricordare la lettera di Rita Borsellino di dimissioni da Assessore regionale, per la storia della “riduzione della pancia” di Crocetta, con i suoi accenni nell’abuso dell’antimafia.
Ma ciò che più conta è che molti, troppi di coloro che, fregiandosi della qualifica di “antimafia” godevano, come una volta i “famigliari” della Santa Inquisizione, di una sorta di speciale immunità per le loro malefatte piccole e grandi, recenti o, magari, remote, sono incappati nelle maglie della rete del sospetto, nei rigori di procedimenti pesantemente devastanti, espressioni di quella concezione della lotta di cui si proclamavano propugnatori ed eroi.
I “sicindustriali”, “monnezzari” o beneficiari di altre non meno maleodoranti attività, indagati a Palermo o a Caltanissetta, sono il più concreto esempio di segnale di una fine incombente di questa così profittevole bagarre antimafiosa.
Borsellino Salvatore, “il Fratello” è incappato con polemiche nella storia, sia per quanto meno controversa, dei fondi antimafia usati per pagare le spese delle sue diffamazioni in danno del magistrato Di Pisa.
Cadono nel discredito o addirittura nel ridicolo del dover raccogliere quello che hanno seminato personaggi che per anni ed anni si sono valsi di qualifiche di “antimafiosi”.
Ad Agrigento un esempio clamoroso: quello dell’avvocato “ecologista” (uno dei “rami” dell’antimafia) e quindi antimafia che di più non si può, per qualifica usurpata, ma mai, fino a poco fa, debitamente contestata, tale Giuseppe Arnone, e dopo anni di “collaborazione” con il dipietrismo locale della magistratura, temuto perché ritenuto, a torto o a ragione “intoccabile”, è finito per cadere in malomodo da quel suo piedistallo di autoesaltazione, travolto da processi e condanne per diffamazione (di cui molti già passati in giudicato) chiamato a rispondere di diffamazione e calunnie in danno di magistrati e di imputazioni pesanti di vario genere. E’ oramai una macchietta, anche se i danni da lui arrecati a molti concittadini ed alla comunità sono ancora senza ombra di riparazione e di risarcimento.
Qua e là per la Sicilia si manifestano altri casi del genere. Nascono circuiti di informazioni sugli affari sporchi di personaggi “Antimafia D.O.C.”, concessionari di tutto ciò che è concedibile e di molto che non lo è.
La stampa (parlo del “cartaceo”) è ancora ben controllata dalla mafia dell’antimafia e copre di silenzio episodi altrimenti destinati, quanto meno, a soddisfare il gusto per il grottesco ed il ridicolo della gente. Penso al caso del regista-sequestratore antimafia Musotto, della storia della pancia “riducenda” di Crocetta. Ma oramai un’informazione fatta attraverso una miriade di siti internet, rende il velo di silenzio una ragnatela inconsistente.
La gente e, soprattutto personaggi di un certo rilievo, non hanno più troppo paura a “parlar male” dell’antimafia, dei suoi abusi, delle amministrazioni pasticciate e disoneste, ad esempio dei beni sequestrati e confiscati.
Quando io, liberatomi delle pastoie inconcludenti ed oramai fuorvianti del Partito Radicale, ma privandomi così anche degli scarsi strumenti necessari ad una vera campagna politica (1988), mi dedicai pressoché esclusivamente ad affrontare problemi della giustizia in genere e di quelli “antimafia in particolare” (l’opuscoletto “Gli sciacalli dell’antimafia” è del 1991) furono più quelli che mi consigliarono prudenza che quelli che furono disposti a seguirmi e darmi una mano.
(Quasi nessuno, con appena un paio di eccellenti eccezioni dei vecchi compagni del P.R., De Stefano, ad esempio, ritenne di seguirmi). Mi ritrovai solo con qualche matto e qualche mediocre mascalzoncello. Oggi non sarebbe così.
Certamente la parabola discendente dell’Antimafia non ha scoperto ancora qualcuno che abbia saputo affrontare, ad esempio, i disastri economici causati dal tipo di “lotta”, di assalto con regole e criteri paramilitari e guerresche alla mafia, ma anche alla certezza del diritto e dei diritti personali e patrimoniali-imprenditoriali che stanno devastando la Sicilia.
Giuristi, economisti e (Dio ne scampi) sociologhi e mafiologhi, sono sempre prudentissimi nell’affrontare temi di fondo.
Rileggevo poco fa il pur pregevole libretto di Fiandaca “La mafia non ha vinto” sulla cosiddetta trattativa “Stato-Mafia” e relativo processo.
Non sono io ad avere statura e tendenze alte alla critica di uomini di quella levatura. Ma non posso tacere di aver inteso una grande tristezza nel vedere la eccessiva misura, la ricerca di argomentazioni degne del dibattito con giuristi di altrettanto valore prudentemente spese di fronte a baggianate epocali, come il “tentativo di subire il ricatto della mafia”. Meglio di niente, si dirà e, forse dovrei anch’io rendermi conto che momenti di abbandono della ragione, della ragionevolezza e dei sistemi giuridici e sociali, come quello rappresentato dalla stagione dei furori antimafia, non possono non lasciare tracce anche nelle abitudini di chi di tali furori non è certo portatore e responsabile.
Vediamo (cioè vedrete) intanto se ai sintomi seguirà qualcosa di più serio.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info