Anche in un Paese come l’Italia, in cui il “rinvio” è il provvedimento più frequentemente adottato nel corso di qualsiasi processo civile o penale senza obbligo alcuno di “motivazione” (quella cosa con la quale la giustizia prende in giro sé stessa e, soprattutto chi le presta fede), il processo ai due nostri Fucilieri di Marina, Latorre e Girone, “rimandato da Erode a Pilato”, come una volta si diceva a Roma, non può non suscitare un sospetto: che “ci sia dietro qualcosa di inconfessabile”. Da parte Indiana come da parte Italiana.
Il ricorso alla “dietrologia”, al qualcosa “che c’è dietro”, che non si capisce e nemmeno ben si immagina cosa potrebbe essere, è un brutto vizio, che spesso copre l’incapacità di “vedere ciò che c’è davanti”. Davanti agli occhi di tutti. L’ho scritto ripetutamente. Ma oggi sono anch’io, di fronte a questo ping-pong di battute inconcludenti tra Roma e Nuova Delhi, a pormi questa così banale e, in tanti altri casi, gratuita domanda.
Conosciamo la storia incredibile dell’operazione “trattenimento”, messa a punto dall’allora Ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata e disfatta, dopo che era stata annunziata “urbi et orbi” con un comunicato ampiamente motivato rimesso a tutte le rappresentanze diplomatiche italiane nel mondo. E questo, ricordiamolo, faceva seguito all’invito alla nave italiana di far ritorno in acque indiane.
Da allora si sono moltiplicate le dichiarazioni del Presidente della Repubblica, di Presidenti del Consiglio, Ministri e Sottoministri degli Esteri: che si stava facendo, in silenzio, un grande lavoro per “riportare a casa” quei poveracci.
“Zitti per carità, lasciateci lavorare che quasi ci siamo!”: questo hanno detto dalle parti della Farnesina per un paio d’anni.
Personaggi responsabili (ma molto irresponsabili) della nostra politica estera hanno apertamente dichiarato che l’obiettivo era quello di far condannare, ma mica alla forca, solo a qualche anno di carcere, sei, sette al massimo, i due malcapitati, per poi imbastire una brillante campagna diplomatica per farseli mandare a scontare la pena nelle accoglienti e confortevoli nostre galere. Ma l’India pare non se la senta di stare a questo giuoco: i rinvii del processo si moltiplicano.
C’è poi la questione dell’arbitrato internazionale.
Lo hanno ripetutamente annunziato come richiesto Ministri degli Esteri (sedicenti tali) e Sottoministri, ma erano impudenti bugie. Sono passati più di tre anni, più assai del tempo necessario per dar corso completo a quella procedura. Ma non si è mosso un dito per attivarla.
L’ultima sconcia operazione è stata il “ricorso all’O.N.U. dell’Italia”. Un’altra solenne bugia, questa volta collettivamente elaborata.
Il Ministro Gentiloni, un altro che, assumendo la carica, ha affermato la “priorità” di tutto quanto necessario per “riportare a casa i Marò” (compresa, si direbbe, la loro condanna a “solo sette anni”, sostenuta dal suo vicepredecessore, responsabile Esteri del suo partito, il P.D. e concorrente, battuto sul filo di lana, alla poltrona alla Farnesina, Pistelli, ha fatto sapere, con un comunicato dal titolo quanto meno equivoco che “L’Italia ricorre all’O.N.U. per la questione dei Marò”.
Solenne bugia. Come quella dell’apertura della proceduta di arbitrato internazionale.
Solo che a far dire la bugia sono stati chiamati, stavolta, i giornalisti delle più autorevoli Agenzie. Che hanno, appunto, annunziato tale “ricorso”. Una autentica bufala.
Gentiloni, in realtà aveva dichiarato di aver parlato dei Marò al Segretario dell’O.N.U. pregandolo di prendere in considerazione la possibilità di un’azione dell’Italia “grandemente interessata alla questione, per ottenere un intervento (unaltro..!!) dell’O.N.U.” di “esaminare l possibilità di tale intervento”.
Insomma l’Italia ha chiesto il permesso di chiedere all’O.N.U. di dire una buona parola…!!!
La bugia, si dirà, non l’ha detta Gentiloni, ma i giornalisti. Già: c’è anche un arte di farsi dire le bugie.
Che nel caso ha funzionato ottimamente. Il Presidente della Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (che si vanta di essere stato molto attivo per la questione di questi due nostri Militari, infatti ha sempre detto che occorreva fare qualcosa) ha subito levato un grido di gioia. A nome, ahimè, di tutto il Parlamento.
Sissignori. Ha detto: “finalmente l’Italia fa quello che tutto il Parlamento desiderava”.
Già: che si chiedesse il permesso di chiedere.
E mica un intervento armato! Una buona parola.
Una “raccomandazione”, più o meno come quelle di cui era specialista un omonimo (di Elio) deputato della Prima Repubblica, collezionista di voti di preferenza.
A questo punto la sceneggiata è divenuta così sconciamente plateale che quella domanda, che tante volte mi sono prodigato a definire stolta ed inconcludente, si affaccia con prepotenza.
“Ma che cosa c’è dietro?”. Si sta consumando, questo è certo, un giuoco indecente sulla pelle di questi malcapitati nostri Connazionali, ai quali dovrebbe andare tutta la nostra solidarietà ed il nostro concreto aiuto.
Oramai Latorre e Girone sono degli ostaggi in mano ad un governo straniero, neppure troppo convinto dell’opportunità e del modo di valersene.
Ma se sono ostaggi di che cosa e per chi lo sono?
L’Italia ha sborsato fior di quattrini (in dollari, credo) per farsi “restituire” la petroliera “E. Lexie”, gentilmente fatta rientrare nelle acque indiane dalle autorità militari marittime italiane. Ha sborsato altri quattrini per ottenere che i due Militari in India non fossero tenuti in galera, ha sborsato quattrini per le loro “vacanze” in Italia. Un sequestro di persone a scopo di estorsione? Ma pare che tutti quei soldi e, magari altri ancora, non bastino.
Con il rinvio del processo, il sequestro si prolunga. I Marò restano in ostaggio.
E così cadiamo anche noi nell’uso (non è detto, però, anche nell’abuso) della dietrologia.
E se ci fosse una storia di tangenti promesse e non effettivamente pagate?
Vorremmo che qualcuno potesse, in buona fede e con solide ragioni, darci del cretino.
Nell’attesa sarebbe opportuno andarsi a leggere la motivazione della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che ha assolto i vertici di Finmeccanica dal reato di corruzione internazionale per le tangenti a governanti e militari Indiani per “lubrificare” un contratto di fornitura di elicotteri Agusta. Condannandoli, però, per aver “messo da parte”, falsificando i bilanci, il gruzzolo necessario per pagarle.
Strano vero? Sì molto strano. Ma francamente preferirei mi si potesse dare del sospettoso cretino. E invece…
Mauro Mellini