Dinanzi la morte di un uomo, anche se questi era solo un criminale, l’unica reazione dovrebbe essere di rispetto e pietà. Ma si può provare pietà per un uomo che si è macchiato di un eccidio del quale non si è mai pentito?
Forse no. Certamente no, quantomeno da parte di chi per mano di quest’uomo ha subito lutti e dolore. Restava la possibilità del silenzio. Quel silenzio che avrebbe consegnato la storia di un uomo all’oblio, senza suscitare ulteriori reazioni e inutili polemiche. Quel silenzio al quale ci saremmo attenuti se non fosse stato che Priebke ha avuto ancora una volta una ribalta mediatica che non andrebbe concessa ad un criminale la cui storia non ha nulla da insegnare a nessuno e che nel corso della sua vita non ha mai fatto nulla di eroico per cui meriti di essere ricordato.
Grazie alle dichiarazioni dell’avvocato Paolo Giachini, difensore storico di Priebke, fin da quando si è appresa la notizia della morte del centenario ex ufficiale nazista responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, si sono innescate inutili polemiche in merito alle esequie funebri e al luogo di sepoltura. Polemiche che ci saremmo volentieri risparmiate.
Sembra risolta finalmente la questione del il funerale di Erich Priebke che si dovrebbe tenere in forma privata, mentre resta ancora aperto l’interrogativo in merito al luogo di sepoltura della salma.
L’Argentina, paese nel quale Priebke ha trascorso lunghi anni di latitanza e in cui continuano a vivere suoi familiari, ha già dato parere negativo all’eventuale richiesta di sepoltura.
L’avvocato Giachini aveva prospettato la possibilità che Priebke venisse sepolto nel cimitero di guerra tedesco di Pomezia, così come, a dire del legale, l’ex ufficiale nazista avrebbe desiderato.
A stroncare sul nascere ogni speranza, Fabio Fucci, sindaco della cittadina laziale che nell’esprimere la propria contrarietà ha dichiarato che l’ipotesi, ad oggi, non ha alcun fondamento di ufficialità.
Del resto, sembra che a prescindere dalla volontà del sindaco la scelta della sepoltura nel cimitero militare non sarebbe perseguibile in quanto lo stesso è destinato ad accogliere i resti mortali dei soldati tedeschi caduti in guerra. E Priebke, tutto è, meno che un soldato caduto nel corso di un’azione di guerra.
Provocatoria la risposta del figlio di Priebke, Jorge: “Dove dovrebbe essere seppellito mio padre? Per me anche in Israele, così sono contenti”.
Jorge Priebke, che da figlio dell’ex ufficiale delle SS avrebbe avuto tutto il diritto di lamentare il trattamento riservato al padre, senza però inasprire inutili polemiche, ha invece scelto la via della provocazione gratuita: “Perché quella gente non guarda quanto succede in Medio Oriente, Siria, Iran oppure quei poveracci a Lampedusa che muoiono nel Mediterraneo? Perché continuano invece a prendersela con uno dei tempi della guerra finita più di 60 anni fa? Che la smettano di rompere, sono dei risentiti, quelli – riferendosi evidentemente al popolo ebraico – rompono nel mondo fin da prima di Cristo”.
Parole che si commentano da sole e che tolgono eventuali dubbi su quello che è il pensiero e la sensibilità del figlio di colui che venne definito il boia delle Fosse Ardeatine.
A non volere i resti di Priebke è pure la cittadina tedesca nella quale lo stesso è nato. L’amministrazione comunale di Hennigsdord ha infatti fatto sapere all’agenzia Dpa che il regolamento cimiteriale prevede la sepoltura solo per i residenti, oppure in presenza di una tomba di famiglia.
Mentre simpatizzanti dell’ex ufficiale nazista, dimentichi del fatto che in quell’eccidio morirono italiani innocenti, polemizzano affermando che Priebke fu mero esecutore di un ordine impartito anche nel rispetto di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1929, nessun paese è evidentemente desideroso di ospitare la salma di quello che per tutti resta e sarà ricordato come un criminale di guerra.
A tal proposito va precisato che la convenzione dell’Aia del 1907 e la Convenzione di Ginevra del 1929 nel contemplare il concetto di rappresaglia ne limitavano l’uso secondo i criteri della proporzionalità rispetto all’entità dell’offesa subita e della salvaguardia delle popolazioni civili.
Il generale Mältzer, comandante della piazza di Roma, giunto in via Rasella, dove a seguito di un attentato partigiano erano morti 32 soldati dell’11a Compagnia del 3° Battaglione del Polizeiregiment Bozen (un altro morì il giorno successivo) e due civili italiani, parlò di una rappresaglia molto grave. Una decisione inizialmente condivisa da Hitler, salvo poi un ripensamento sulla gravità delle conseguenze che una simile rappresaglia avrebbe suscitato e che portò Hitler a “limitare” a soli 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso.
Il massacro fu organizzato ed eseguito dall’ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma Herbert Kappler, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma nell’ottobre del 1943, il cui fido collaboratore era l’ex-capitano delle SS Erich Priebke
Dieci italiani fucilati per ogni tedesco ucciso. 32 per 10. 320 persone da fucilare. La morte, nella notte successiva all’attacco di via Rasella di un altro soldato tedesco, spinse Kappler ad agire di sua iniziativa, decidendo di far fucilare dieci persone in più. 330 ostaggi da uccidere. Forse per errore, alla lista dei 330 vennero aggiunti 5 nomi in più. Testimoni scomodi che non potevano essere lasciati in vita. Così i morti divennero 335.
Quali furono i criteri adottati per individuare gli ostaggi condannati a morte? Inizialmente la scelta ricadde su soggetti ritenuti appartenenti alla resistenza partigiana o comunque vicini. Ma, visto che il numero non era sufficiente, a questi si aggiunsero prigionieri per reati comuni carcerati a Regina Coeli, semplici sospettati di aver commesso reati, prigionieri di cultura ebraica, persone rastrellate all’ultimo momento pur di raggiungere la cifra stabilita.
Per i 15 giustiziati di quella strage non compresi nell’ordine di rappresaglia dato per vie gerarchiche, vennero condannati all’ergastolo Kappler, che riuscì ad evadere dall’ospedale militare del Celio pochi anni prima di morire, e Priebke, che dopo una lunga latitanza in Argentina fu arrestato, processato e condannato in Italia.
A quanti oggi continuano a sostenere che Priebke fu mero esecutore e che altri ufficiali tedeschi per quell’eccidio vennero assolti, suggeriamo di cercare proprio in quest’affermazione la risposta. Perché Priebke non venne assolto? Forse perché lui stesso collaborò alla stesura della lista dei condannati? Forse perché quei 15 morti in più non rientravano nell’ordine impartito?
La mente umana è veramente qualcosa di difficile da capire. Chi oggi giustifica l’operato di un ex criminale nazista, continuerebbe a farlo se avesse pianto la morte di un familiare innocente per mano sua?
I sopravvissuti del Polizeiregiment “Bozen”, la compagnia che subì l’attentato di via Rasella, si rifiutarono di vendicare i propri 33 compagni uccisi. Non sapevano ancora che, quasi settant’anni dopo la strage, ci sarebbero stati alcuni italiani i quali, dimenticando i loro connazionali uccisi, avrebbero ricordato come un eroe il boia delle Fosse Ardeatine.
Gian J. Morici
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Quello delle Fosse Ardeatine è uno dei numerosissimi episodi di atrocità commessi in Italia dopo l’8 settembre 1943 fino alla fine della guerra, e anche dopo, da una parte e dall’altra, sulla popolazione inerme.
Per non parlare di quello che anche altrove hanno compiuto i Francesi (“La Ciociara”!), gli Inglesi e specilmente i Russi.
Qui in Friuli, come in altre parti dell’Italia, si potrebbe fare un’antologia dei crimini commessi, che la popolazione ancora ricorda.
Però quello che è stato compiuto dai nostri “liberatori” viene dimenticato, mentre vengono enfatizzati i crimini dei “nemici”.
Questo è un bel modo, onesto ed imparziale, di ricostruire la Storia.
Non bisogna prendere le parti di qualcuno, ma dire la verità.
Max Rom