Dieci tonnellate di cocaina, undici viaggi e tre spedizioni fallite. Per i giudici calabresi che lo hanno condannato a 25 anni di carcere, Nicola Ciconte era a capo della compagine australiana direttamente collegata ai vibonesi diretti all’epoca da Bruno Fuduli (“infiltrato” del Ros) e Vincenzo Barbieri (ucciso nel marzo scorso). Un vasto traffico internazionale di droga, che ha visto Ciconte accusato anche di riciclaggio. Melbourne, Hong Kong e Nuova Zelanda, sarebbero stati i paesi attraverso i quali Ciconte avrebbe riciclato il denaro.
Un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, che avrebbe piazzato in vari paesi le tonnellate di cocaina fornita dai cartelli colombiani.
L’inchiesta, all’interno della quale rientrava il troncone che riguardava Ciconte, nel gennaio del 2004 portò a centinaia di arresti in tutto il mondo.
In Italia, il processo nei confronti di sedici imputati, si è concluso con cinque assoluzioni e undici condanne per complessivi 201 anni.
Ciconte, trafficante di cocaina in fuga dalle autorità italiane, in Australia ha lasciato una scia di debiti e fallimenti aziendali, continuando a godersi la bella vita sulla Gold Coast.
Al giornalista, ha risposto: “Non ho niente da dirti!”
Eppure Ciconte di cose da dire ne avrebbe. A partire da quei 500kg di cocaina che, attraverso l’Italia, avrebbe fatto arrivare a Melbourne tra il 2002 e il 2004.
Da milionario (proventi derivanti dal traffico di droga, calcolati in oltre 35 milioni di dollari), a truffatore, che vive in un appartamento in affitto a Mudgeeraba.
E nella cerchia dei truffati, non mancano neppure le persone a lui più vicine. Dall’ex compagna, al fratello.
Ciò nonostante, seppur apparentemente senza un soldo in tasca, il re della coca in Australia, quello che gli ex soci ricordano per i suoi rapporti economici anche con la Banca del Vaticano, continua la bella vita.
“cosa c’è di meglio di una buona cena, un ottimo vino e due risate con gli amici?” dice Ciconte.
Già, ma chi paga?
Gjm